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38° festival della valle d'itria



XXXVIII FESTIVAL DELLA VALLE D’ITRIA
Martina Franca, 14 luglio - 2 agosto 2012


L’etimologia può anche imbarazzare. Non è facile annunciare un festival estivo in un momento come questo, in un’Italia come quella di oggi, dove tutto ci preoccupa, ci incupisce e ci addolora. E ancora più difficile farlo con lo spirito proprio di una festa, come pure meriterebbe. Eppure la gioia è tanta, non solo quella del direttore artistico, ovviamente, che è soltanto il portabandiera di uno spirito condiviso e diffuso tra molti: dal Presidente Punzi a tutti i collaboratori, dalla Città, dallo splendido territorio della valle dei trulli e dalla Regione, e soprattutto dai molti artisti che ne sono i veri protagonisti.
Il cartellone di questa XXXVIII edizione è importante e ambizioso, forse il più rilevante degli ultimi anni: aumentano i titoli e ci sono più recite; si contano ventinove appuntamenti in diciannove giorni, con la grande novità - introdotta con uno sforzo davvero titanico per le dimensioni strutturali di Martina Franca - del “week end delle opere” (quattro opere diverse in quattro giorni), che avvicina quello della Valle d’Itria al modello dei principali festival internazionali; un cartellone prestigioso che raccoglie artisti importanti e ricercati nel mondo e vanta due commissioni: un’opera nuova del XXI secolo e la riduzione drammaturgico-musicale di un’opera seicentesca.
Sembra impossibile che stiamo parlando dell’edizione del Festival con il budget artistico più basso degli ultimi anni e, viene da credere, di sempre. La gioia, allora, deriva anche dal fatto di aver incontrato tanta sensibilità e generosità tra molti artisti e professionisti del mondo dell’opera; di aver toccato con mano quanta voglia di spendersi ci sia ancora in questo Paese per un mestiere che si ama e per il quale si studia, si fatica, e si vorrebbe ancora vivere.
E allora, abbiamo fatto il miracolo? No. Il miracolo si chiama più correttamente lavoro, fatica, fantasia, sacrificio, abnegazione, generosità, passione. Senso della missione.
Abbiamo saputo di una rilevante riduzione del budget soltanto ad aprile. L’ennesima doccia fredda: cartellone disegnato e annunciato da mesi, artisti impegnati, accordi sottoscritti… Potevamo cancellare un titolo, protestare, rinunciare. Rilasciare polemiche interviste di protesta, e sarebbe stato anche comprensibile. No, niente di tutto questo. Ci siamo guardati negli occhi, ci siamo rimboccati le maniche, e abbiamo iniziato a scavare non una trincea ma un ponte. Molti ponti. Abbiamo potuto contare sulla generosità e intelligenza di molti, in particolare del team creativo di Zaira, che ha reinventato un progetto che potesse rinunciare alle scenografie già pensate e progettate e recuperasse, elaborandolo, materiale dei nostri magazzini scenografici. È stata creata una nuova drammaturgia, che potesse portare ulteriori economie, altri risparmi. E il progetto artistico è rimasto bello e forte, probabilmente ancora più incisivo, perché gli artisti che hanno talento hanno anche molte risorse.
Abbiamo chiesto a tutti di sacrificare qualcosa per la causa comune. Tutti hanno accettato. Molti verranno a lavorare sulle spese. Ed è anche per questo che è doveroso dire un sentito grazie a tutti.
La passione, però, non può e non deve essere un alibi. Quella della generosità non può essere la regola quando si tratta di lavoro. L’amore per la propria arte non è una buona ragione per non vedere riconosciuti e rispettati competenza e abilità, sacrifici di anni di studio e di esperienza. Sarebbe come chiedere a uno chef du cuisine di cucinare gratis, a un chirurgo di portarsi i ferri da casa e di affittarsi la sala operatoria, a un politico professionista di amministrare la cosa pubblica per puro spirito ideale e per amore di patria.
Viviamo tempi di grave crisi ed è naturale che anche noi, tutti noi, diamo il nostro contributo. Quello che vorremmo, per il rispetto che tutti meritano, è poter conoscere per tempo le risorse su cui possiamo contare, perché fare questo lavoro seriamente non può significare soltanto saper bene improvvisare e inventarsi soluzioni a ogni svoltata d’angolo.
Quello che è necessario rivendicare oggi, prima di ogni altra cosa, non sono solo risorse economiche in misura garantita e fissata in anticipo per almeno un triennio. Ciò di cui abbiamo davvero bisogno - ed è l’esigenza primaria di un’intera collettività, non solo di chi vive questa professione con lo spirito del civil servant - è che la cultura, l’arte, la musica non siano visti come un lusso che non ci si può permettere, come un corredo buono in tempi di festa, un vezzo di cui si può fare tranquillamente a meno; e che gli artisti e i musicisti siano considerati per il valore specifico e unico della loro professionalità, e non gente un po’ strana, cui piace intrattenere e mettersi in mostra. E che il teatro sia rivalutato come nobile e popolare spazio di civiltà e di spiritualità laica condivisa, e non un luogo esclusivo e forse chic, dove andare a distrarsi dalle brutture del mondo. Questa terribile deriva è ciò che temiamo maggiormente per il nostro Paese, quello contro cui combattiamo e combatteremo.
La gioia, dunque, è nel poter presentare un festival che esprime esattamente questo concetto, questo “programma”: un luogo per il coraggio e la coscienza del confronto d’idee, non un giardino estivo, dove prendere il fresco, non una fiera delle vanità o un circolo ristretto di soggetti privilegiati che si parlano addosso di cose che non ci appartengono più, per iniziati, e quindi completamente sterili.
Il festival che amiamo e che vogliamo, e che cerchiamo tenacemente di fare, è un’altra cosa. È un luogo dell’impegno e dell’incontro. Un luogo di riflessione e di dialogo. Un luogo in cui riunirsi, emozionarsi, e ritrovarsi comunità, società, nazione.
Non sono certamente idee nuove, hanno almeno duemilacinquecento anni. E proprio qui, a Martina Franca, erano portate avanti dal grande e indimenticabile Paolo Grassi.
Ed ecco perciò che il programma del Festival 2012 è sintetizzato in un motto, che parla chiaro a tutti noi, uomini e donne del XXI secolo, anche se preso a prestito dalla poesia del ‘500 e da un contesto completamente diverso: “..e dentro è l’uno, e di fuor l’altro io sento”. Ed ecco perché il tema di quest’anno parla, ancora una volta, d’impegno civile e politico. Nel senso alto e nobile del termine, di un teatro luogo eletto della polis.
Quello della Valle d’Itria è un festival importante e riconosciuto nel mondo, per il Belcanto, per le opere nuove e sconosciute, per i cantanti e i direttori giovani e promettenti; più volte definito il più importante del Mezzogiorno, uno dei più noti del Mediterraneo. Oggi, agli inizi di una nuova era, e nel pieno di una crisi storica, non può esimersi dal farsi sempre di più laboratorio di coscienze, di giovani e per i giovani di ogni età.
Essere consapevoli di ciò, e della responsabilità che abbiamo ereditato, è il primo compito di noi tutti, organizzatori, artisti e cittadini del nostro tempo.

Alberto Triola
Direttore artistico